Oggi, 27 gennaio è il Giorno della Memoria e di memoria abbiamo parlato ieri in ufficio insieme ad un partigiano, Giglio Mazzi, che a 17 anni dovette compiere una scelta: andare in montagna a scavare trincee per i tedeschi o darsi alla latitanza e diventare partigiano. “Eravamo tutti giovani alle Officine […] e naturalmente tutti antifascisti”, la scelta non fu difficile.
Giglio Mazzi è “l’ultimo GAP”, l’ultimo partigiano ancora vivo del distaccamento Katiuscia, una delle formazioni GAP (Gruppi di Azione Patriottica) che operarono in Emilia Romagna tra il settembre 1943 ed il 25 aprile 1945.
Se volete sapere qualcosa di più su di lui trovate una bellissima intervista su YouTube, qui per voi
Ha raccontato la sua storia partigiana ricca di aneddoti e dettagli. Quello che mi ha colpito è stata la sua lucidità: un uomo di 95 anni con una grinta ed una carica davvero invidiabili. Ha ricordato con passione quello che andavano a fare, ossia tendere agguati ai fascisti e nazisti in giro per Reggio Emilia per disarmarli e renderli innocui. Le parole scelte, molte in codice come quando durante la guerra le si doveva per forza usare. E quindi la mitragliatrice od il fucile diventano “la chitarra quella giusta”, ha messo spesso “quando andavamo a suonare la chitarra ai fascisti”. Quest’uomo ha combattuto la guerra davvero, ha concretamente deciso di fare qualcosa per liberare il suo Paese e nelle sue parole esce con naturalezza la cruda realtà della guerra, dove si andava ad ammazzare il nemico. Tante le domande alle quali ha sempre risposto con passione e dovizia di particolari; ha raccontato di come era organizzata la resistenza in pianura, dove si trovava lui, ed in montagna con le differenze tra chi di giorno faceva una vita normale e di notte compiva azioni di sabotaggio e chi invece, come lui, aveva scelto di vivere in clandestinità e mescolarsi in mezzo ai fascisti per compiere attacchi mirati ai soldati nemici.
“Abbiamo fatto quello che c’era da fare. Punto e basta”. Questa la conclusione a commento parlando di quel periodo di lotta.
Nel suo racconto anche un velo di amarezza che ha intaccato per un po’ il suo sorriso sempre vivo per tutta la chiacchierata. Durante il racconto del suo ferimento mentre, insieme all’Onorevole Otello Montanari, suo compagno partigiano, Giglio si è trovato ferito e chiedendo aiuto ad un contadino che passava di lì, Questi, invece di aiutarlo, se ne è andato urlando spaventato qualcosa. L’amarezza nel constatare che loro stavano combattendo per il popolo, ma lo stesso popolo aveva paura anche di loro e scappava.
E’ stata una mattina davvero intensa, che mi ha fatto capire l’importanza di mantenere vivo il ricordo di quel periodo affinché non si possa più ripetere. Per farvi capire la forza di quest’uomo, quando gli abbiamo chiesto cosa ne pensasse di questo ritorno da parte di gruppi che inneggiano al fascismo ha risposto quasi con il sorriso: “questi di casapound sono poca cosa, parlano tanto, ma non possono fare niente. Io non ho paura di loro”.
L’amarezza finale invece è la mia, perché mi sono trovato di fronte ad una persona di 95 anni che lucidamente ha raccontato la resistenza, ma allo stesso tempo si tratta di uno degli ultimi sopravvissuti che può ancora testimoniare l’importanza della resistenza e delle lotte Partigiane. Quando se ne saranno andati tutti, sarà difficile far capire ai giovani quanto di sbagliato c’è stato nel fascismo e nel nazismo.
Mantenere viva la memoria è il compito più importante che abbiamo noi adesso.
VIVA LA RESISTENZA!